12/10/2016

INVENTARE LA DIETA DOVE SI MANGIA QUALSIASI COSA: FATTO.

In realtà non l’ho fatto io, l’ha fatto la natura. Solo che poi ci siamo dimenticati come andavano le cose. E anche il perché andavano così.

Con ordine.

È assolutamente innegabile che alcuni stili alimentari negli ultimi anni abbiano riscosso più successo di quanto abbiano fatto la Bibbia o il catalogo Ikea. E un motivo c’è.

Da quando l’industrializzazione del cibo ha sacrificato la qualità del prodotto a discapito della quantità, qualcuno ha iniziato a chiedersi come era possibile che le zucchine sapessero di plastica, il cioccolato di zucchine, e la plastica di cioccolato, rendendo alla fine zucchine, plastica e cioccolato intercambiabili nell’alimentazione giornaliera.

Curiosamente nel frattempo erano proporzionalmente aumentate anche alcune forme di malattie e disagi fisici. La strada da fare per mettere in relazione le due cose è stata davvero breve: se mangio più cibi NON PURI, è normale che il mio corpo si AMMALI di più. Soprattutto se le statistiche epidemiologiche ci mostrano che le curve di incremento delle due cose sono in buona sostanza sovrapponibili.

Ma il nocciolo è sempre lo stesso: dipende come si interpretano i dati.

Punto primo: se mai non ci avevate pensato prima, da qui in avanti crederete che “cibi non puri=ammalarsi” solo perché nella frase prima vi ho messo in stampato maiuscolo le due parole. Il cervello è bello perché è così convincibile di tutto…

Punto secondo: le statistiche di incremento delle malattie negli ultimi 50 anni sono sì sovrapponibili all’incremento dei cibi trattati, ma anche all’acquisto di automobili, telefonini, animali domestici, iscrizioni in palestra, uscite serali, divorzi, convivenze, mutui contratti, lauree, seminari esperienziali seguiti, interrogazioni parlamentari sul tema immigrazione e un altro svariato numero di cose che sono aumentate nello stesso modo, solo perché proporzionali alla ripresa economica del dopoguerra. Da lì, per dire che le cose sono collegate, serve ben più che la sovrapposizione di dati.

Punto terzo: anche quando risultasse che effettivamente alcuni cibi hanno una biochimica interna direttamente correlata allo sviluppo di certe malattie, non si deve confondere “sviluppo” con “genesi”. Certo che il grano creso modificato influenza la frazione III di Fraizer tanto da aumentare la predisposizione alla celiachia, ma non si può certo affermare che essa ne sia una diretta conseguenza; anche perché altrimenti non si spiegherebbe come mai non tutti la manifestino nonostante quello che ci è finito sulle tavole fin dall’età pediatrica. Idem per tanto deviato concetto di carne e tumori: dimostrare la relazione tra foci tumorali e consumo di proteine animali significa una sola cosa, ossia l’esistenza dei foci tumorali stessi, che sono le cellule precursori dei tumori, ossia quelle da cui il tumore si sviluppa. Che vuol dire che erano già lì quando abbiamo iniziato la somministrazione di proteine. La carne, così come tutte le sostanze con elevati contenuti di vitamina b12 per esempio, fa crescere più velocemente le cellule, tutte però, sane o tumorali che siano; ma il punto è: che cosa ha fatto nascere queste benedette cellule che poi, se ci sono, vengono fatte crescere dalle proteine animali?

Punto quarto: il fatto che iniziando un nuovo regime alimentare ci faccia “guarire” da certe patologie, non dimostra direttamente che questa è la cura per tale problematica. L’unica cosa certa è che abbiamo smesso di fare qualcosa che in qualche modo era collegato al suo mantenimento. Anche perché non si spiegherebbe come sono possibili quei casi di guarigione da, per esempio, diabete seguendo la dieta vegana ma anche seguendo la dieta chetogenica, che sono una l’opposto dell’altra. L’unica certezza è che cambiando modello alimentare, qualsiasi esso fosse, abbiamo permesso al corpo di mettere in atto i suoi naturali processi di riorganizzazione funzionale altrimenti chiamati guarigioni miracolose.

Punto quinto: è un po’ come con il tanto bistrattato Metodo scientifico attuale: dire che un farmaco funziona, non vuol dire che esso sia la cura per la patologia. Lo dimostra il fatto che deve riuscire a essere più efficace di quel 30% di guarigioni che l’effetto placebo sempre e comunque riuscirà a portare. Ma ci si dimentica sempre di una cosa: come l’hanno scoperto l’effetto placebo? Sono l’acqua e lo zucchero che vengono somministrati a riuscire a darci questi risultati? È la capacità di guarigione del cervello? Perché allora solo il 30% che vale PER QUALSIASI MALATTIA, anche per quelle che attualmente hanno farmaci che non riescono a dare gli stessi risultati? Non è che continuiamo a guardare i piccoli pezzi del puzzle senza sapere quel è il disegno finale? Del resto, nessuno si ricorda mai di considerare, sia quando si fanno sperimentazioni cliniche, sia quando si tratta di valutazioni sull’efficacia delle dieta, di cosa facciano nella vita le persone, di quanto siano felici, di cosa leggono, di cosa ascoltano, dell’aria che respirano, di che lavoro fanno: davvero crediamo che se una persona lavora in fonderia 16 ore al giorno e riceverà 1000 euro al mese che dovrà consegnare alla mamma sofferente che li userà per ripianare i debiti di gioco del suo secondo marito che ci picchiava quando tornava ubriaco dal bar, potremo essere salvati dal cancro al colon semplicemente mangiando il daikon al posto della cotoletta di pollo (che poi è l’unica cosa che potremmo permetterci visti i costi delle due). Veramente speriamo che quella pillola riuscirà a non darci più la gastrite anche se ogni giorno in ufficio il nostro capo ci ricorda che lui comanda e che noi dobbiamo fare quello che lui ci dice perché altrimenti l’azienda non fattura più e sarà venduta ai cinesi che la assorbiranno e noi resteremo senza lavoro con 3 figli da mantenere, il mutuo sulla casa, il leasing sulla macchina, ed il finanziamento per essere andati 3 giorni in vacanza all’idroscalo di Milano dopo aver accumulato 300 giorni di ferie arretrate non pagate che non fremo mai?

Tutti d’accordo vero che queste situazioni sono almeno tanto dannose quanto i più micidiali agenti chimici? Tutti abbiamo fatto queste esperienze (mi auguro non proprio queste…).

Ma allora perché ci basta farci dire cosa mangiare e non comprendere da dove nasca la relazione tra cibo e vissuto sociale-psichico-relazionale?

Potrei andare avanti ancora per molto, ma non voglio rovinarvi la sorpresa. Che poi sorpresa non è dato che basterà leggere i libri che trattano delle varie diete che sono nate negli anni per trovare i loro punti di forza e anche i loro vizi di interpretazione (ovvio che questi ultimi li troverete sui libri degli altri…).

Quello che vorrei passasse non è che i vari stili alimentari non sono validi, anzi, è proprio perché funzionano tutti che si dovrebbe cominciare a riconsiderare il cibo come uno strumento al servizio del corpo e non viceversa.

L’essere umano ha attraversato peripezie incredibili per diventare ciò che ora è, a partire da quei composti inorganici che pullulavano nel brodo primordiale. Per non parlare di quello che ha dovuto fare per divenire materiale biologico a partire dalla pura energia generata dal big bang. Ma considerando solo la vita qui sulla terra possiamo facilmente comprendere come ad ogni richiesta di adattamento all’ambiente nel quale vivevamo, era proporzionale una modifica di comportamento, e anche di struttura, di alcune parti che ci costituivano, che fino a quel momento stavano andando benissimo. Dato che tutti i tessuti del nostro corpo abbisognano di acidi grassi, carboidrati, proteine, vitamine e Sali minerali, possiamo intuire come dinanzi a richieste di modifica si siano rese necessarie modifiche di richiesta di tali nutrienti. Ecco come sono nate le diete: se ad una cellula veniva richiesto di dover andare più veloce, ed abbisognare di più energia, essa doveva immagazzinare più zuccheri!

Oggi esse stanno diventando sempre di più una moda per perdere peso o un tentativo per essere diversi dagli altri, anche dietro lo stendardo della maggior consapevolezza sociale ed ecologica.

E se dovessimo solo ricominciare a comprendere, in buona sostanza, quali sono i meccanismi che impongono al nostro corpo delle variazioni di necessità biochimiche ed alimentari? Se in pratica bastasse sapere cosa vogliamo ottenere dalla vita e mangiare di conseguenza anziché sperare che dal mangiare in un certo modo potremo ottenere dalla vita ciò che vogliamo?

Non vogliamo togliere il potere al cibo e riportarlo a chi è in grado di dargli senso, ossia a noi? Che cosa è che nel corpo umano impone delle modifiche di comportamento che a loro volta varieranno le richieste alimentari?

Scoprirlo vorrà dire trovare la chiave che apre tutte le serrature in questo campo: esiste uno specifico momento per mangiare quello che capita, per essere vegetariani, per fare la dieta chetogenica, per fare quella dissociata, per essere crudisti, per mangiare i dolci, per fare la dieta a zona, per quella a controllo calorico, per quella macrobiotica e per quella che… ci fa felici!

Proviamo a scoprirlo insieme, non solo sentendoci dire cosa dobbiamo mangiare, ma provando a capire quale è il senso profondo del concetto di cibo nella nostra vita evolutiva, dato che esso è stato utilizzato proprio per permettere l’evoluzione di singole cellule in un organismo dalla complessità ancora insondata.

 

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